lunedì 23 luglio 2018

Sotto l’ombrellone. O l’ombrellino

Mare, spiaggia, sole. Tanto sole. Si sa, ripararsi sotto l’ombrellone nelle ore più calde della giornata è fondamentale. E, ammettiamolo, andare in giro con un vezzoso ombrellino non sarebbe proprio una cattiva idea. 
Ma poi, cosa c’è dietro quel piccolo ombrello? 
Niente, dici? Ti stupirò allora.
E non mi riferisco all’uso che ne facevano le dame del ‘700 che riparavano la pelle dal sole per preservarne il pallore.
Prima, molto prima, il parasole era un accessorio d’uso, ma non per tutti, anzi era proprio esclusivo. 


1. Rilievo neo-assiro da Nimrud, VIII-VII sec. a.C.
Ph.: Pinterest


Uno status symbol

Ad iniziare da OrienteIn un rilievo neo-assiro (1), il Re Tiglath-Pileser III (744-727 a.C.) appare stante sul carro, con la mano destra levata, in un gesto 'canonico' di manifestazione della sua regalità. Il parasole, tenuto da una figura maschile alla sue spalle, enfatizza il centro figurativo e semantico della scena. L'immagine è eloquente: è qui rappresentato il potere politico supremo.  
Il parasole si configura, quindi, come un attributo di regalità, originato in area orientale e destinato a mantenere per secoli e secoli questo legame con uno status superiore.

Ma, come tutte le iconografie di lunga tradizione, il simbolo del parasole (tutt'altro che un semplice ombrellino!) si evolve nel tempo, si adatta ai vari cambiamenti socio-culturali.


Loutrophoros apula a figure rosse
Matera, Museo Archeologico Nazionale
Ph.cred.: Baggio 2013,  p. 7, fig. 3
Accessorio moda?
Ad un certo punto, ecco infatti che il nostro parasole appare associato a delle figure femminili. Ma non si tratta di regine.
Osserva questa loutrophoros (vaso per acqua lustrale destinata alla detersione della sposa o del corpo della defunta), in particolare la scena centrale (2). 
Una figura femminile siede su uno sgabello pieghevole, mentre una seconda regge un parasole e un'altra le porge un cofanetto aperto.
Cosa ci fa un parasole all'interno di quella che sembra essere una struttura chiusa?

Definiamo meglio questa struttura. Si tratta di un naiskos, un'edicola funeraria che già di per sé suggerisce l'identità del personaggio centrale: è una defunta, ma non una defunta qualsiasi, è una figura di rango, 'eroizzata' all'interno della sua comunità.
Il suo status superiore è suggerito da diversi segnalatori iconici: il diadema sul capo, gli altri gioielli, le vesti sontuose, il parasole, ancora segno di prestigio nell'immaginario del tempo.

Al potere socio-economico si accompagna quello della seduzione, enfatizzato dai monili e anche dalla gestualità: la figura, infatti, solleva un lembo del velo, nell'atto dell'anakalypsis, lo 'svelamento' tipico della sposa seducente. 

Leggiamo ora il registro inferiore del vaso.
Vi appare una serie di oggetti allineati che, accentuando il senso dell’accumulo, comunicano il prestigio sociale della defunta: una cetra, un alabastron per contenere oli profumati, uno sgabello su cui poggia una corona dorata, un capitello che regge un cofanetto aperto con tre vasetti, un kalathos (contenitore dalla larga apertura) con uova o frutti. 
Tutti oggetti slegati dal contesto d’utilizzo, allusivi alla sfera della seduzione e della fecondità e, nello stesso tempo, funzionali a sottolineare il rango superiore del personaggio, in vita come in morte.

In questa e in altre rappresentazioni, il parasole è quindi un tassello iconico che concorre a ricostruire un preciso status legato al potere politico e/o sociale. E - aggiungiamo - anche divino. 


Accessori divini

Con un bel salto temporale arriviamo al tempo dell’imperatore romano Elagabalo (Marco Aurelio Antonino Augusto, 218-222 d.C.) della dinastia dei Severi. L’imperatore era un fanatico in fatto di religione, e lo era in particolare in relazione al culto del dio solare El-Gabal, adorato ad Emesa, in Siria, luogo d’origine della sua famiglia. 
Sacerdote del culto siriaco, Elagabalo tentò di farlo diventare il fulcro del pantheon romano. 
Ci riuscì? No di certo, ma ci provò con tutti i mezzi che aveva a disposizione, incluso uno dei più efficaci 'social media' del tempo, la moneta


Elagabalo, aureo, Antiochia, 218-219 d.C.
Ph.cred.: wikipedia

Ecco quindi che la ‘pietra di Emesa (un meteorite?), custodita nel tempio siriaco, è rappresentata su un aureo coniato, non a caso, in una zecca orientale, Antiochia. La pietra, trasportata su un carro senza auriga, è fiancheggiata da quattro parasole.
L'ombrellino è così un segno iconico funzionale ad enfatizzare il divino, secondo un uso reale che se ne faceva all’interno dei rituali sacri.


Ti ho sorpreso? 
Certo è che dietro immagini e dettagli figurativi si nascondono significati simbolici insospettabili
E si tratta di strati di significati che si depositano nel tempo, che variano e assumono sfumature semantiche a seconda dei contesti storico-culturali.  
Ma il ‘cuore’ non muta: il significato più profondo è sempre quello, come abbiamo visto nel caso del parasole, attributo di uno status privilegiato, umano o divino che sia.
Quello che noi oggi ricostruiamo soltanto grazie agli studi storici, iconografici e antropologici, per i contemporanei di allora doveva essere molto più immediato e comprensibile a un primo sguardo. Sia che l’immagine comparisse sulla superficie di un vaso sia che fosse inserita nel piccolo tondello di una moneta.


Per saperne di più

Sulla loutrophoros: Monica Baggio, Sistemi di immagini, sistemi di oggetti, Cahiers «Mondes anciens» 4, 2013, https://journals.openedition.org/mondesanciens/1072


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