mercoledì 9 marzo 2016

Antiche vittime tra mito e storia

Di rappresentazioni brutali, si sa, è piena l'arte di ogni tempo. Ma certamente le figure di donne vittime di violenze a tutte le latitudini e in tutte le epoche dovevano avere (e hanno) un forte impatto sull'osservatore. 
Hydria attica a figure rosse del Pittore di Kleophrades, 480-475 a.C.
(Napoli, Museo Archeologico Nazionale)
Queste donne sono caratterizzate da gesti e segni destinati ad avere una grande fortuna nell'immaginario comune di età romana e anche oltre.

Osservate l'hydria attica: sulla destra, figure affrante con le mani portate alla testa in un gesto di dolore e di ‘isolamento’ dall’esterno; al centro, la stessa Cassandra, seminuda, è afferrata da Aiace per i capelli per essere trascinata via a forza. Ben poco della disperazione del momento era lasciato all'immaginazione!

Per l'epoca romana abbiamo documenti visivi che fissano queste immagini brutali nel freddo della pietra, del marmo o del metallo.
Si tratta di vittime delle circostanze storiche, insieme ai loro uomini e ai loro bambini. Oppure sono figure simboliche, incarnazione dei soprusi del loro tempo.  
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Gemma Augustea, cammeo in onice, 10 d.C.
(Kunsthistorisches Museum, Vienna)

La famosa Gemma Augustea (10 d.C.), in quel trionfo figurativo ed ideologico incentrato sul Princeps Ottaviano Augusto, in sembianze di Giove, mostra nel registro inferiore una scena di sottomissione di prigionieri, uomini e donne, che, con la sua forza espressiva, brutale, si contrappone alla classicistica celebrazione del principe. 
Una donna è, anche qui, trascinata per i capelli, un’altra donna è accovacciata per terra con le mani portate al volto, mentre accanto a lei siede, legato, un prigioniero. 
Un soldato alle loro spalle sta erigendo un trofeo, simbolo assoluto di trionfo bellico. 
Da rilevare un forte indicatore di status quale le chiome lunghe e scarmigliate e le vesti scomposte, tipiche della figura della barbara divenuta schiava.

Roma, denario d'argento di Vespasiano, 69-70 d.C.

L’iconografia della donna, con una o due mani al volto, seduta ai piedi del trofeo compare più tardi su denari di Vespasiano. 
Ma guardate bene: in basso si legge IVDAEA. 
Quella figura non è una prigioniera qualsiasi: è la stessa regione della Giudea, la personificazione della regione vinta e assoggettata come qualunque prigioniera.



Le donne vittime di guerra continuano a percorrere l’arte romana, soprattutto quella dei grandi fregi marmorei.
Figure cariche di pathos sono quelle delle donne condotte dai militari alle navi per essere portate lontano dalla loro terra. 
Roma, Colonna Aureliana, ante 193 d.C., scena LXI, partic.

Alcune trascinate per i capelli, altre col consueto gesto delle mani al volto: stereotipi iconici che sintetizzano e definiscono la condizione delle donne di un popolo sconfitto. 
Sono le donne germaniche della Colonna di Marco Aurelio: una narrazione di guerra e di vittime di guerra, uomini, donne, bambini, presentata dal punto di vista, ovviamente, dei trionfatori romani.
Roma, Colonna Aureliana, ante 193 d.C., scena XCVII, partic.

Qualche anno prima, nel fregio della più antica Colonna Traiana (113 d.C.), invece, le figure di donne e bambini avevano avuto un ruolo alquanto limitato e mai caricate di violenza eccessiva. 
Le differenze sostanziali, stilistiche ed ideologiche, tra le due colonne sono state messe a fuoco da Paul Zanker in riferimento ai diversi momenti storici. 
Le guerre daciche condotte da Traiano erano state guerre di conquista, finalizzate all’inserimento del territorio dacico come provincia all’interno dell’Impero. 

Le guerre di Marco Aurelio contro i Marcomanni erano invece guerre difensive, a seguito della penetrazione di barbari fino all’Italia settentrionale: l’Impero, per la prima volta, appariva seriamente minacciato. La percezione del pericolo doveva essere molto forte. 
Ecco perchè tante figure di barbare e dei loro bambini e tanta violenza: erano emblema di un pericolo che andava ‘rimosso’ mediante l’annientamento di un intero popolo. Vi era una precisa ‘funzione’ politica.


Roma, Sesterzio di Marco Aurelio, 172 d.C.


Le monete di Marco Aurelio, per celebrare e propagandare la stessa vicenda, utilizzano ancora una volta la figura della Provincia vinta e asservita: la Germania Subacta (Germania sottomessa), seduta sempre accanto ad un trofeo.

Il grande monumento, la Colonna col suo fregio, è arte di Stato, così come la moneta è un documento di Stato. 
Le immagini raffigurate in entrambi i casi rispondono alle stesse ragioni ideologiche: la propaganda della grandezza di Roma e del suo Princeps.
Ognuno di questi monumenti, fregio o moneta, narra o meglio rappresenta la Storia con il proprio linguaggio peculiare: 
l’ampia narrazione dei fatti, nel primo caso; nel secondo, la comunicazione tramite un codice espressivo sintetico ed efficace.
L’angoscia della Storia, a noi utenti di oggi, è trasmessa con la medesima efficacia.

Ci fermiamo qui (almeno per il momento...). 

Ma le storie, si sa, potrebbero continuare ben oltre la soglia del mito e della storia antica.

Credits:
P. Zanker, Un’arte per l’Impero. Funzione e intenzione delle immagini nel mondo romano, Milano 2002

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