Lekythos attica a fig.rosse del Frankfurt Acorn Painter, 420-400 a.C.
(J.Paul Getty Museum, Los Angeles) |
Donne sedute, stanti o in
movimento all’interno di uno spazio chiuso (definibile come tale perché spesso
contrassegnato da una o più colonne).
Possono recare degli oggetti in mano, ben leggibili: uno specchio, una boccettina, una cassettina…
Possono recare degli oggetti in mano, ben leggibili: uno specchio, una boccettina, una cassettina…
'Scene di gineceo'?
Queste sono di solito definite 'scene di gineceo', quadretti cioè ispirati alla vita quotidiana dell’antica Grecia. Oppure, sulla scia della recente (and very trendy) Gender Archaeology, sono chiamate ‘scene di genere’, perché appunto legate all’universo femminile.
Queste sono di solito definite 'scene di gineceo', quadretti cioè ispirati alla vita quotidiana dell’antica Grecia. Oppure, sulla scia della recente (and very trendy) Gender Archaeology, sono chiamate ‘scene di genere’, perché appunto legate all’universo femminile.
O almeno così si ritiene.
Ma sono davvero soltanto
scene 'realistiche’?
Oppure è necessario andare
oltre quella che è la semplice descrizione di una scena e il suo primo
livello di lettura?
In una società in cui le
immagini parlavano ai loro fruitori in modo molto più chiaro
ed eloquente di quanto non accada a noi, sottoposti a bombardamenti
quotidiani di stimoli visivi, gli ‘oggetti’ fisici erano utilizzati come efficaci media di
idee, messaggi e, in alcuni contesti, di vera e propria propaganda.
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Specchio in bronzo, 460 a.C. ca (The Walters Art Museum, Baltimore) |
Lo specchio è, sa va
sans dire, un attributo che dal lontano passato ad oggi è rimasto pressochè
immutato.
Per limitarci alla cultura dell’antica Grecia, la ceramica attica come pure quelle di produzione italiota e siceliota abbondano di figurine con lo specchio in mano: donne in atto di specchiarsi oppure lo specchio come oggetto appeso ad una parete, a definire lo spazio del gineceo ed evocare la cura del corpo, dei capelli e dell’abbigliamento.
Per limitarci alla cultura dell’antica Grecia, la ceramica attica come pure quelle di produzione italiota e siceliota abbondano di figurine con lo specchio in mano: donne in atto di specchiarsi oppure lo specchio come oggetto appeso ad una parete, a definire lo spazio del gineceo ed evocare la cura del corpo, dei capelli e dell’abbigliamento.
Strumento irrinunciabile della
toeletta, lo specchio (katoptron) è un simbolo profondamente
radicato nell’immaginario collettivo in riferimento alla bellezza e alla grazia
femminile (charis).
Bellezza ed eros, un binomio inscindibile
Una lunga tradizione poetica
celebra i motivi della bellezza e del potere seduttivo come strumenti
finalizzati all’unione matrimoniale e alla procreazione dei figli.
Già nell'Inno omerico ad
Afrodite, il poeta cantava:
“… le Ore la vestirono con vesti divine, - sul capo
immortale posero una ben lavorata corona, - bella, d’oro, e ai lobi traforati –
fiori di oricalco ed oro prezioso; intorno al delicato collo ed al petto
fulgente l’adornarono coi monili d’oro … al vederla … ognuno desiderava che
fosse sua legittima sposa …”
(Inn. Om., Ven., 5 ss.)
Ma anche Esiodo non era da
meno: Pandora è splendidamente preparata
“… perché le donne preziosamente adornate
convincono l’uomo all’amore…”
(HES., Th., 570 ss.)
Queste figurine femminili sono
quindi spose, in attesa di incontrare il loro uomo.
Ma si tratta soltanto di una
‘preparazione’ all’amore, legittima vanità femminile?
La dimensione in cui si
‘muovono’ questi soggetti non è soltanto privata, ma ha una portata sociale
tutt’altro che banale.
Hydria apula a fig.rosse, 360-350 a.C. (Collez. Intesa S. Paolo) www.culturaitalia.it |
Anche la forma dei vasi è
significativa per comprendere la semantica delle scene raffigurate. L’hydria era
destinata a contenere l’acqua, verosimilmente in connessione con i bagni
rituali che le spose compivano prima delle nozze. Anche il lebes gamikos era
utilizzato durante le cerimonie nuziali.
Ma non finisce qui.
Lo specchio e la dea della città
Uno straordinario
repertorio di immagini, ancora pressochè sconosciuto ai non addetti ai
lavori, è quello espresso sulle monete.
Osserva questa monetina: si
tratta di una frazione di dracma (trihemiobolo) dal diametro di soli 14
mm!
Su questo piccolo tondello, coniato in Tessaglia, a Larissa, ritroviamo lo stesso soggetto rappresentato nel più ampio campo narrativo dei vasi.
Su questo piccolo tondello, coniato in Tessaglia, a Larissa, ritroviamo lo stesso soggetto rappresentato nel più ampio campo narrativo dei vasi.
Trihemiobolo d'argento di Larissa, 450-400 a.C. (Triton XV BCD Thessaly Virtual Catalog n. 362.2) |
La figura appare seduta, su una sedia con spalliera e gambe ricurve (klismos), con lo specchio in una mano e l’altra sollevata ad aggiustarsi i capelli in un gesto lezioso. Ben visibili sono anche gli orecchini con pendente, ornamento e, al tempo stesso, attributo della nymphê-sposa.
Lo spazio limitato non limita
certo le possibilità rappresentative.
La differenza tra vaso
e moneta non è comunque limitata alle dimensioni del supporto.
Diversa è infatti la
natura e la destinazione d’uso della moneta rispetto a quelle
del vaso.
Quest’ultimo è un prodotto di
bottega artigianale, quindi è un manufatto ‘privato’, mentre la
moneta è un documento di Stato, la cui ‘validità’ è garantita dalle
immagini (tipi) impresse sul metallo dall’autorità emittente.
Le immagini apposte sui vari
supporti non erano certo frutto d'ispirazione estemporanea da parte
dell’artigiano/artista/incisore. Tutte le iconografie erano selezionate sulla
base di determinati criteri e, a maggior ragione, lo erano le immagini presenti
sulle monete.
La figura femminile con
specchio rappresentata sulla monetina di Larissa, non è soltanto ‘sposa’,
modello di una società dai ruoli precostituiti.
C’è infatti un altro dettaglio che connota il tipo monetale, ovvero l’iscrizione (legenda) che, in questi casi, è proprio LARISA. Si tratta quindi del nome che identifica il soggetto rappresentato come personificazione omonima della città (la c.d. 'ninfa eponima'), dea dalla complessa fisionomia.
Si sa, d'altra parte: la Città è donna!
C’è infatti un altro dettaglio che connota il tipo monetale, ovvero l’iscrizione (legenda) che, in questi casi, è proprio LARISA. Si tratta quindi del nome che identifica il soggetto rappresentato come personificazione omonima della città (la c.d. 'ninfa eponima'), dea dalla complessa fisionomia.
Si sa, d'altra parte: la Città è donna!
Il riconoscimento di questa sua particolare natura ci
aiuta ad accedere ad un livello di significato più profondo e a ricostruire
almeno un frammento del complesso puzzle dell’immaginario antico.
Lo specchio metafora del 'vedere oltre'
La superficie riflettente dello specchio, per la sua proprietà di rimandare l'immagine in modo freddo e imparziale, è metafora di una conoscenza che va al di là dell'apparenza. La dea della città di Larissa ha innanzitutto il potere di ‘andare oltre’, di accedere ad un mondo 'altro' e di prevedere il futuro.
C'è di più.
In quanto attributo della personificazione
della città, lo specchio può alludere alla collettività che si riflette,
cioè si riconosce nella sua rappresentante, la divinità che incarna la città
stessa. La ninfa eponima è emblema della coesione sociale e politica
della città e quindi della sua forza.
L’astrazione del simbolo: lo 'specchio
di Venere'
La fortuna concettuale e
figurativa del nesso specchio-donna nel corso dei secoli è storia nota su cui
si sono versati fiumi di inchiostro... e di post (ad esempio, vedi didatticarte).
Ma è senz’altro da segnalare
ancora un’altra immagine, tuttora universalmente riconosciuta come simbolo
biologico del genere femminile: un cerchio sormontante una croce, il
cosiddetto “specchio di Venere”, opposto all’”arco di Apollo” che
denota l’elemento maschile.
Si tratta di un simbolo adottato in tutti i settori della scienza, dalla biologia all'astronomia (per indicare il pianeta Venere) e che conserva nella forma e nella denominazione il ricordo di un antico immaginario.
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